Paesaggio e ambiente sono due concetti fortemente connessi. Secondo Di Fidio: “Il punto di arrivo della complessa evoluzione subita dal concetto di paesaggio è costituito dalla più moderna definizione fornita dall’ecologia: il paesaggio viene considerato come ecosistema paesistico concreto … di una sezione spaziale estesa a piacere della biosfera, che nel caso più semplice comprende solo atmosfera, litosfera ed idrosfera e negli altri casi è integrata da esseri viventi, fra cui l’uomo, e le sue opere; … nella maggior parte dei casi, più che un vero e proprio ecosistema omogeneo, si tratta di un insieme di ecosistemi variamente collegati” [Di Fidio, 1991].
Dunque il paesaggio, visto da questa prospettiva, è un insieme di sistemi ecologici dinamici in equilibrio (o in disequilibrio, a seconda dei casi), in cui le componenti ambientali di maggiore rilievo:
- suolo
- vegetazione
- acqua
- clima
- fauna
interagiscono fra loro, ricevendo inoltre le importanti pressioni modificatorie degli interventi antropici (coltivazione, forestazione, pascolo, incendi, deforestazioni, edificazione, inquinamento ecc.). Risultano quindi di rilevante importanza quei fattori e quegli elementi che, legati alla presenza di tutte le diverse componenti ambientali di tale sistema complesso, permettono il mantenimento dell’equilibrio ecosistemico.
Gli interventi dell’uomo hanno prodotto e producono modificazioni dell’ambiente che incidono sugli equilibri ecosistemici ambientali in modo rilevante. Nel passato le foreste che occupavano la gran parte delle superfici del nostro territorio sono state disboscate (per lo più con incendi), liberando grandi estensioni di terreno, una parte dei quali sono stati poi messi in coltura. Dai primi insediamenti e dai primi villaggi rurali sono sorte le città, che sono cresciute e sono divenute punti di riferimento per l’agricoltura, il commercio, le attività speculative. Infine i processi di aggregazione hanno portato alla formazione delle città più grandi, attraverso i processi di urbanizzazione. Se si eccettuano i grandi interventi di deforestazione (realizzati comunque per lo più in epoca remota) gli effetti degradativi della presenza dell’uomo, per quanto rilevanti, sino alla rivoluzione industriale non hanno portato agli sconvolgimenti sugli equilibri ambientali che invece dal secolo scorso in poi si sono ripercossi sul territorio e sul paesaggio.
La pressione dei processi di aggregazione urbana, con la concentrazione delle persone e delle industrie in ridotte porzioni di territorio, la limitata preoccupazione per gli effetti degli insediamenti industriali e civili (degradazione degli ecosistemi esistenti, inquinamento, cave), così come la tecnologia, che ha portato a nuove forme di inquinamento (idrocarburi, pesticidi, nuove sostanze chimiche), macchine sempre più potenti e tecniche di lavorazione sempre più devastanti, hanno prodotto negli ultimi 200 anni una serie di rilevantissimi effetti sul territorio e sul paesaggio, con la trasformazione di paesaggi agrari e naturali in paesaggi urbani o industriali più o meno degradati.
Non si deve comunque pensare che gli interventi antropici, nella loro applicazione ai sistemi ambientali e al paesaggio, esprimano solamente effetti di impatto sull’ambiente di valenza negativa: in molti casi, anzi l’azione dell’uomo favorisce il riequilibrio di alcuni sistemi naturali o seminaturali.
E’ il caso ad esempio dell’applicazione delle tecniche di governo del bosco nel comparto forestale, che – se razionalmente applicate – consentono di mantenere i sistemi ecologici forestali in situazioni di elevato equilibrio ambientale (ad esempio per la riduzione dei rischi di incendio o perché favoriscono una equilibrata rinnovazione) pur nell’ambito di una gestione finalizzata ad un loro razionale sfruttamento. La risorsa forestale costituisce uno degli elementi ambientali e paesaggistici di maggior spicco del nostro territorio nazionale, visto che tale amplissima area verde – estesa su quasi 7 milioni di ha di bosco, pari al 22% del totale nazionale – compensa almeno in parte gli effetti negativi sull’ambiente derivanti dalla presenza in tutta la penisola di grandi agglomerati urbani e industriali.
Anche l’agricoltura, che occupa in Italia una superficie ancora maggiore, visto che interessa il 50% dei 30 milioni di ha del territorio nazionale (giova ricordare che complessivamente fra terreni agricoli, forestali e aree di interesse naturalistico si raggiunge l’87% della superficie territoriale) è un’attività ad elevato grado di antropizzazione che contribuisce in modo sensibile al mantenimento degli equilibri ambientali. Le aree coltivate hanno sempre costituito dei sistemi complessi che – proprio attraverso la gestione antropica dei suoli – ne hanno favorito l’equilibrio ecosistemico complessivo, sia in modo diretto, attraverso la gestione diretta del suolo e delle colture (per gli effetti collegati all’aumento della fertilità, a cui le razionali tecniche di gestione agronomica possono portare), sia per l’elevata interconnessione di alcuni dei fattori organizzativi dei sistemi agricoli con l’ecosistema circostante (si pensi alle siepi, che costituiscono oltre che un significativo elemento paesaggistico un importante habitat per la flora e per la fauna).
Per questo, in parallelo con la piena tutela degli ambiti a vocazione naturalistica integrale, la salvaguardia dell’azienda agricola diventa un presupposto essenziale della tutela dell’ambiente e del paesaggio.